SMASCHERARE L’IPOCRISIA

di Vincenzo Masini

 

 

 L’idea si fa strada a poco a poco. E’ qualcosa che ho da tempo dentro di me e che si muove e si agita. La natura patologica dell’ipocrisia mi è da tempo nota e l’ho meditata e, per quanto complessa e perversa, mi appare abbastanza chiara da consentirmi di scrivere che “l’ipocrisia è una comunicazione che finge di essere una relazione”. Un’affermazione che è una specie di versetto, una sura. Attribuisce alla comunicazione il carattere secondario di trasmissione di informazioni mentre designa la relazione con un carattere primario di sincronizzazione mentale tra persone. Ciò che si forma nell’onda relazionale è una vera e propria sostanza. La finzione ipocrita toglie consistenza alla sostanza.

L’ipocrisia ha un ruolo enormemente distruttivo per le relazioni. Infatti l’ipocrisia dissolve le relazioni, destruttura la personalità di chi la subisce, impedisce l’emersione dell’autenticità della vita, umilia l’umanità.

Da tempo ho scoperto che il mio lavoro di psicoterapeuta è spesso consistito nel liberare le persone dalle ragnatele delle ipocrisie in cui erano irretite. Se qualcuno sta male, spesso c’è qualcun altro nascosto, reale o fantasmatico, presente o passato, che lo fa star male.

Oggi mi appare lampante la necessità di smascherare, ed invitare a smascherare, l’ipocrisia per raggiungere il proprio benessere, per dare soddisfazione agli altri e per realizzare il bene comune.

 

La voglia di coraggio, di sincerità, di lealtà

Questo passaggio di liberazione dalle dipendenze e dai condizionamenti ha oggi bisogno di una lettura molto più ampia se accostiamo condizionamenti e dipendenze alle relazioni malate di ipocrisia.

Ipocrisia sottile, celata, in cui si cade senza accorgersene: una trappola ordita contro le relazioni affettive da chi gestisce il suo potere egocentrico per dominare.

La pericolosità dell’ipocrisia sta nel suo contagio: se infatti mi accorgo che chi si relaziona a me è un ipocrita e faccio finta di non accorgermi della sua ipocrisia divento io stesso ipocrita e sono trascinato nello stesso gorgo.

Non si tratta più solo di liberarsi e difendersi dagli attentati ai propri sentimenti ma di comprendere e contrastare un’insidia molto più penetrante.

Gli attentati ai sentimenti sono infatti visibili in chi si approccia a noi sempre in modo ultracritico o polemico, in chi opprime, intimida, squalifica, seduce, demotiva, istiga e imbroglia. E’ facile riconoscerli anche quando si fingono lamentosi piangendosi addosso o vogliano coinvolgerci nelle loro esigenze oppure manipolarci con invadenza. Sono tutte persone che ci parassitano scaricandoci addosso problemi da cui occorre non farsi coinvolgere e da cui, anzi, occorre prendere le distanze perché qualunque rapporto di aiuto, dato alle loro condizioni, non modifica la loro realtà e ci trascina nella confusione. Senza una chiarificazione autocritica da parte di tali attentatori non è possibile nessun rapporto di autentico aiuto.

Il nucleo patologico dell’ipocrisia si pone però a un livello ancora più raffinato, giacché l’ipocrita si presenta come un soggetto equilibrato, positivo, cordiale ed aperto alla relazione. Ma propone una relazione falsa. In prima approssimazione si presenta come una relazione di cortesia, attenta e non invadente, positiva ed anche elegante. Ma, a ben vedere, la relazione è una costante falsificazione di ciò che si vive davvero con quella persona. L’ipocrisia relazionale è molto sottile perché non svela mai l’equivoco di definirsi come una relazione vera, autentica e profonda mentre invece nasconde abilmente l’essenza delle persone in relazione.

Essa si può definire come una “falsificazione definita vera nella relazione”. Infatti, se una relazione è falsificata non è possibile svelarla (per convenienza, per distrazione, per accondiscendenza, per dubbio, per timore…) e la sua assenza di autenticità proietta su chi la vive una zona d’ombra.

La sensazione è che ci sia qualcosa di nascosto da cui guardarsi perché non si capisce dove l’altro voglia arrivare. Ci si aspetta prima o poi un passaggio di verità, una richiesta, un atto spontaneo che mostri la vera anima del nostro interlocutore ed invece tutto rimane in uno stadio indefinito di opacità. Ciò non significa che gli attori della relazione debbano essere sempre e assolutamente trasparenti, aperti e sinceri. Significa che quando un attore si accorge della mancanza di autenticità espressa dall’altro e, a sua volta, finge di non accorgersene, la relazione si ammala.

Una certa quantità di discrezione e riservatezza non ipocrita è assolutamente tollerabile specie nella fasi iniziali di contatto relazionale ma ci si aspetta che qualcosa accada per entrare in qualche forma di condivisione più carica di affettività. Se una relazione non cresce e non si rinnova decanta e progressivamente svanisce.

L’ipocrita invece alimenta le sue relazioni senza mai farle diventare vere, tantomeno evolute o autenticamente affettive, e senza che mai si attui qualche vero scambio. E’ un professionista della diplomazia relazionale.

 

La malattia psicologica dell’ipocrisia

L’ipocrisia nelle sue diverse forme è il principale male relazionale dell’umanità in questa fase della sua storia. Subire le relazioni ipocrite e adattarsi a esse fa entrare in una spirale di progressiva sofferenza psichica. Per chi non ne comprende il gioco, infatti, il suo ripetersi è un baratro di “non senso” che distrugge la personalità e fa perdere il contatto con se stessi. Si perde la padronanza di ciò che si vive perché svanisce la capacità di empatizzare, e distinguere, l’autenticità dal falso. Si galleggia così su schemi di comportamento e di azione ritenuti funzionali a diverse contingenze senza accorgersi che non consentono l’espressione delle emozioni e che costruiscono pensieri rigidi privi della comprensione delle metafore, degli esempi e dell’ironia. Veri e propri disturbi del pensiero che deraglia, si blocca o diventa persistente. Tali schemi, intimamente connessi alla relazione ipocrita, diventano veri e propri disturbi di personalità che possono far perdere i confini della propria identità.

La situazione di scissione vissuta all’interno di scene relazionali ripetute e da cui non è possibile ricavare senso condiviso (ricavare cioè processi di associazione e conferma delle emozioni sperimentate) destruttura il senso personale di identità. Oppure produce la mancanza di autodirezionalità intesa come capacità di perseguire obiettivi coerenti e significativi sia a breve che a lungo termine. L’introiezione di scene relazionali di cui non si comprende e non si condivide la prospettiva (non si intuisce dove vanno a finire perché l’ipocrisia non è chiarificabile) impedisce l’autoriflessione attuale e prospettica. O, ancora, la caduta dell’empatia, generata dall’impossibilità della verifica mediante oggettivazione del vissuto altrui e della definizione relazionale della relazione, fa cadere la comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri. E, infine, il ritiro dall’intimità per scarsa profondità e durata della relazione positiva con gli altri è spesso causata da sofferenza assimilata nei momenti di falsa vicinanza per ipocrisia relazionale. Molti disturbi di personalità possono dunque essere considerati frutto di socializzazione ipocrita, qualora si comprenda il dramma dell’ipocrisia relazionale e il suo ruolo nell’impedire l’empatizzazione della definizione relazionale e la chiarificazione della sostanza relazionale prodotta. Le conseguenze dell’ipocrisia nel vissuto spaziano dunque lungo tutti gli ambiti del disagio: labilità emotiva, ansia, angoscia di separazione, sottomissione, ostilità, antagonismo, perseverazione, depressione, distacco e sospettosità, ritiro, evitamento dell’intimità, anedonia, affettività ridotta, sospettosità, manipolazione, inganno, grandiosità, ricerca di attenzione, insensibilità, ostilità, irresponsabilità, impulsività, distraibilità, tendenza a correre rischi, perfezionismo rigido, convinzioni ed esperienze inusuali.

L’ipocrisia infatti agisce a diversi livelli a seconda della progressiva evoluzione delle relazioni. Finché le relazioni sono primitive, si attua solo la ripetizione dei flussi relazionali empatizzati, non si innesca ancora nessuna forma di coscienza della relazione e dunque l’ipocrisia può essere innocua perché, in fondo, la relazione nemmeno c’é.. Le forme di apprendimento ripetitivo sono in contatto con istinti e pulsioni e lo stato mentale caratterizzante è la coscienza sonnolenta. Possono determinarsi atteggiamenti di falsità e di inganno, più o meno riconoscibili, ma non raggiungono la complessità dell’ipocrisia. I bambini non sono ipocriti.

Nelle relazioni oppositive invece la coscienza si oppone dialetticamente a qualcosa che la limita. In questa dialettica prende forma una prima definizione della relazione che può consentire di muoversi verso relazioni affini, oppure un pervicace attaccamento a forme di opposizione contro gli altri dovute alla sensazione di aver subito torti o ingiustizie o mancanze senza saperle bene riconoscere e senza saper attribuire chiaramente la responsabilità agli ipocriti che hanno fatto finta di prendersi cura senza mai averlo fatto davvero.

 

Il linguaggio dell’ipocrisia è politicamente corretto

L’ipocrisia ha costruito numerose modalità relazionali che danneggiano e sottomettono le persone attraverso la mistificazione, l’istigazione, la manipolazione, il condizionamento, ecc., ipocritamente negato: l’oppressione esercitata “per il bene dell’altro”, il giudizio, la critica e la condanna per far andare l’altro sulla giusta strada, l’istigazione per diffondere le maldicenze e  “svegliare”  e  “motivare” le persone affinché se ne rendano conto, l’inganno strategico per non far riconoscere la vera faccia del potere.

Il volto del potere che non riusciamo a vedere è quello che si nasconde dietro i criteri legalitari e giustificazionisti della burocrazia e della tecnocrazia ma, per riuscire a cogliere la sua natura, è necessario prima purificarsi della facciata con cui si presenta e cioè dal “politicamente corretto”.

Il tema del politicamente corretto è infatti la via attraverso cui più sottilmente si insinua la strategia politica dell’ipocrisia. L’espressione “politicamente corretto”, nata negli anni ’70, si incentrava sul tipo di linguaggio da utilizzare per garantire il rispetto verso persone appartenenti a minoranze, a differenti culture, con situazioni di disabilità, di esclusione sociale o di maggiore debolezza nel potere contrattuale e nell’immagine. Il linguaggio voleva rappresentare un atteggiamento di accettazione e di inclusione da parte dei “politicamente corretti” per sancire una alleanza politica con le diverse minoranze. Non si trattava solo di consentire attraverso diverse ipocrite “carte dei diritti” o attraverso l’ipocrita “diritto alla privacy” la possibilità di vivere secondo le proprie scelte di costume, di stile di vita, personali fedi e convinzioni, senza subire emarginazione o etichettamento sociale ma di considerare inclusa nella società ogni forma di diversità e di stranezza, facendo finta che ci fosse una società che includeva. Mentre la società, intesa come insieme di relazioni tra persone, era già evaporata nelle sue appartenenze e sostituita da un raffinato sistema di ruoli sociali e di maschere dentro i cui schemi gli esseri umani dovevano adeguarsi.

Ruoli e maschere, peraltro, talmente astratti da non determinare mai la certezza di un giusto adeguamento, negli abiti, nel comportamento, nelle regole sociali, nei modi di fare tanto da far nascere, soprattutto tra i giovani, quel diffuso senso di inadeguatezza che apre le porte al disagio esistenziale.

Il “politicamente corretto” è proposto come un linguaggio totalmente libertario ed è funzionale a creare la convinzione che sia possibile qualunque inclusione sociale delle minoranze le quali vengono percepite come “maggioranza” formata dalla somma di tante minoranze. In realtà è spesso sempre lo stesso individuo proprio perché a partecipare alle diverse minoranze (contemporaneamente ambientalista, vegetariano, omosessuale, malato, disabile, tossicodipendente, appartenente ad una minoranza etnica, ad una religione non ufficiale, ecc.). Tale maggioranza sembra essere l’autentico tessuto di rapporti che costituisce la società.

In realtà tale società semplicemente non esiste. L’accettazione della minoranza è quindi solo nominalistica e la tolleranza verso il diverso è solo linguistica poiché non è autenticamente relazionale. Infatti si esprime sul piano dei diritti civili, delle carte dei diritti, delle leggi e delle forme di interazione sociale condivise e normate ma non nella realtà delle relazioni umane. In altre parole è ipocrita.

La minoranza si attenderebbe però un altro livello di accettazione relazionale poiché vorrebbe che la maggioranza si “facesse simile” ovvero conformasse lo stile di vita al messaggio, anche di sofferenza, di cui la minoranza è portatrice. L’attesa ingenua della minoranza è quella di poter essere maggioranza per ottenere un’identità collettiva che sazi il bisogno di riconoscimento.

Invece si trova di fronte solo al cambiamento del linguaggio. Il linguaggio determina nella minoranza una ulteriore e più forte attesa di attenzione e di cura che però non arriva. Il buonismo alle spalle di tali promesse di integrazione e di inclusione è di gran lunga superiore alle possibilità relazionali, sociali ed economiche dei sistemi e degli stili di vita. Il politicamente corretto finisce così a generare ulteriori aspettative deluse che, se diventano rivendicazioni, generano reazioni di rifiuto sociale verso le minoranze ancora più forti.

L’ipocrisia del linguaggio politicamente corretto produce danni relazionali molto grandi all’interno della società fino a destituirla e renderla così liquida da non presentarsi più come un corpo sociale ma solo come un insieme di connessioni rette da impalcature burocratiche. Ipocrisia e burocrazia sono infatti fenomeni della stessa specie, infatti l’ipocrisia sta alla persona come la burocrazia sta alla società.

 

Burocrazia e ingiustizia

Ma cosa nasconde il politicamente corretto?

In primo luogo l’equivoco tra la legalità e la giustizia giacché non è assolutamente detto che una legge, in quanto legge, rappresenti un passo avanti verso la realizzazione dell’obiettivo giustizia. E’ molto difficile definire cosa sia la giustizia mentre tutti noi percepiamo molto bene cosa siano le ingiustizie! E, quotidianamente, siamo di fronte a fatti di ingiustizia senza riuscire a raccapezzarci del perché avvengano e del modo in cui tali ingiustizie siano orchestrate.

La palese verità si spalanca però di fronte a noi nel momento in cui riusciamo a capire come funziona l’ipocrisia nella società burocratica.

Prima di tutto scopriamo che il fastidio sperimentato per la figura del burocrate è giustificato e giusto giacché egli è la personificazione del male! Non è fedele alla legge anche se finge di esserlo, non è impersonale e neutro ma vive di clientele, non obbedisce ai regolamenti ma li costruisce e li utilizza a suo piacimento, non è onesto perché costruisce lui stesso i concorsi attraverso cui è assunto nella casta sulla base di criteri che lo favoriscono, non è leale perché utilizza il suo ruolo per massimizzare il suo potere, non è generoso perché si sottrae al suo impegno per demotivazione ed egoismo, non è relazionale perché si ritiene una persona speciale in ragione della sua collocazione, non è competente perché non riesce a districarsi tra i problemi burocratici che la sua stessa mentalità ha creato, non è chiaro perché la sua presenza è sempre fonte di complicazioni, non è utile perché la sua presenza rappresenta sempre un costo sociale, non è bello perché è ingrigito nell’animo e nell’aspetto, non è colto perché la sua chiusura mentale gli impedisce di allargare i suoi orizzonti, non è simpatico perché la sua apertura emozionale si limita all’ambito in cui è ristretto, non è delicato perché il suo ruolo lo trasforma in prepotente, … insomma è rozzo, antipatico, vuoto, inutile, pesante, ossessivo, invadente, prepotente, oppressivo, ossequioso, viscido, losco, strisciante, falso, opportunista, egoista, noioso, pedante, parassita, improduttivo, scontato, inefficiente, ecc..

Ciò dipende dal fatto che il fondamento del potere della burocratico è l’inerzia ovvero il deliberato rallentamento (coperto da motivi sempre misteriosi) delle trafile a meno che una potenza esterna non faccia pressioni per velocizzarle. Le diverse velocità nell’espletamento delle pratiche demandate al potere della burocrazia non sono funzionali all’efficienza della piramide burocratica ma a sistemi per aggirare quella complessità crescente del sistema che la burocrazia stessa produce, governa e regola rendendo inossidabile il suo potere.

 

Burocrazia e tecnocrazia

Il potere dei tecnocrati, che sono la forma più recente della mutazione dei burocrati, è l’assalto più pericoloso alle democrazie ed alla conquiste sociali del secolo scorso.

La gran parte dei burocrati rimane di basso rango, ovvero non vengono prescelti per l’ingresso nelle élites e, nel rimanere all’esterno dell’Olimpo a cui tendevano, cadono in una profonda alienazione che li conduce all’inefficienza precedentemente descritta, alla incapacità addestrata, alla deformazione professionale, al ritualismo operativo fino all’assenteismo organizzato, se non addirittura a vere e proprie sindromi passivo aggressive verso cittadini, nei confronti dei quali proseguono nella  finzione ipocrita della neutralità, del rispetto della forma ,

I burocrati di alto rango sono prescelti attraverso i canali privilegiati della conoscenza burocratica del funzionamento dei concorsi pubblici, della selezione per titoli, dell’incarico ad personam, naturalmente motivato in modo burocraticamente perfetto e blindato come solo un burocrate sa fare. I burocrati di alto rango vengono cooptati all’interno della casta dei tecnocrati al servizio e compartecipi della superclass delle multinazionali e delle sue diramazioni di potere vigenti nei diversi paesi. Vengono infatti ed inseriti nei settori chiave delle organizzazioni statuali e internazionali per favorire gli interessi della progressiva concentrazioni dei poteri e delle ricchezze. Tecnocrati e Superclass, e le loro organizzazioni internazionali, hanno infatti in comune l’odio per le democrazie politiche degli stati sovrani.

Il processo di globalizzazione, innescato dalle élites burocratiche e tecnocratiche, sembrerebbe tendere all’organizzazione di un nuovo stato mondiale in cui le multinazionali hanno il ruolo di dirigere gli orientamenti del mercato e dell’economia. L’ipocrisia della globalizzazione mostra il suo vero volto nella crisi globale del 2006 quando, a seguito della messa in atto da parte della banche internazionali di alcuni nuovi strumenti finanziari ad alto rischio (i Credit Default Swap che trasferiscono i rischi a terzi, i mutui subprime concessi dalle banche senza ricorrere a efficaci garanzie di restituzione e gli Hedge Funds, fondi di investimento gestiti da privati e fondati su derivati e vendite allo scoperto), esplode la bolla immobiliare e, soprattutto, assicurativa.

L’ultima ipocrisia dei tecnocrati è la lotta e la polemica contro i “complottisti” ovvero contro coloro che cercano di comprendere a chi appartenga, ad esempio, la BCE, le cui quote sono distribuite tra la principali Banche Nazionali, le cui quote sono distribuite tra Banche private, assicurazioni, enti, ecc., le cui quote azionarie sono ulteriormente frazionate in incroci di difficile lettura in mano alla Superclass ed ai tecnocrati.

L’ipocrita cortina di fumo dietro cui si nascondono interessi potentissimi è raffinatamente coperta dall’ipocrisia magistralmente amministrata dal ceto dei burocrati statalisti.

E’ da questa casta che il potere delle multinazionali seleziona e attinge i burocrati che diventeranno i tecnocrati amministratori internazionali del potere e della finanza a nome e per conto delle agenzie di cui sono in parte dipendenti, in parte soci. E l’ipocrisia politico burocratica regna sovrana! Ho analizzato altrove[3] più in profondità il rapporto tra burocrazia e corruzione cercando di individuare nella semplicità e nella Real Justice strumenti che potrebbero contenere la contaminazione e la corruzione che la burocrazia e la tecnocrazia determinano. C’è però prima da riconoscere ed affondare il vascello degli ipocriti aprendo gli occhi disincantati alla visione della realtà che ci circonda.

 

La malattia spirituale dell’ipocrisia

L’aspetto più inquietante dell’ipocrisia è però quello che riguarda la sfera più intima e spirituale della persona. La forma del rituale incarcera la spiritualità e produce una simulazione che allontana dalla partecipazione autentica alla ricerca del senso della vita e della morte. “E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano” (Mt 6:12). Il primo livello dell’ipocrisia nella spiritualità è quello di far vedere di possederla mentre essa è solo una finzione di convenienza. L’atteggiamento devoto e buonista si presenta come un formidabile passaporto per essere socialmente accettati e per presentarsi con l’aspetto adeguato alla superficialità delle relazioni. I rituali coprono tutto perché sono un modello magico, praticabile solo ai diversi iniziati, per fingere di entrare in contatto con la dimensione dello spirito. Questo simulato contatto è un ottimo vanto ed una benemerenza sociale ingannatoria. Il rinforzo narcisistico dell’io può dare una soddisfazione momentanea ma “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati” (Mt 6:1), mette in guardia chi sa ascoltare: la più “bella figura” non riempie il vuoto esistenziale!.

Il secondo passaggio, più grave ancora è quello della mistificazione. “Trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” (Mt 23:24). La mistificazione è pervicacemente presente nelle norme etiche, morali e nelle prescrizioni religiose. In tutte. Le leggi morali si riferiscono teoricamente ai valori ma, affinché si formi un valore, è necessario le persone abbiano potuto viverlo per assimilarlo e che non sia semplicemente una obbedienza formale che, spesso, lo rende vuoto o incomprensibile. Noi conosciamo la giustizia nel momento in cui, dopo grande fatica e ricerca, siamo riusciti a realizzarla e la vediamo buona e giusta. Raramente riusciamo a vederla come frutto di applicazione di un codice giacché la vita non si presenta mai lineare come le prescrizioni etiche tendono a far supporre. “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lu 12:56).

E’ proprio l’originalità della coscienza umana che ci mette costantemente di fronte a contraddizioni, a scelte complesse e a momenti critici che superiamo quando la coscienza riesce a librarsi di un gradino e diventare consapevolezza della nostra condizione. Allora ci rende liberi di scegliere e di orientarci sulla base di una soggettiva riflessione personale. Invece della supina obbedienza sappiamo produrre un valore e, sentendolo profondamente nostro, siamo fedeli al suo autentico significato e riusciamo ad essere felici e a esultare nella realizzazione di qualcosa di positivo che abbiamo realizzato. Privare l’essere umano di questa potenzialità, per legarlo alla adesione passiva a una norma o a un rituale, è un delitto contro la sua spiritualità.

L’inganno è una terza tragica potenzialità dell’ipocrisia. Esso è esercitato sulla base della convenienza dell’ipocrita, burocrate nello spirito. Egli attira a se i suoi adepti attraverso un carisma seducente per aumentare la sua sfera di influenza e la sua personale importanza. Gode a mostrare i suoi trucchi e le sue abilità di capacità di convincimento, di coinvolgimento e di fascinazione che funziona però solo quando è esteticamente ben costruita, quando è solenne, quando è incensata per cadere invece nel vuoto subito dopo. E quando si avrebbe la necessità profonda di sentire una autentica risposta dentro di sé, tale risposta non si trova. Così accade che momenti anche apparentemente esaltanti di espressione spirituale condivisa lascino un senso di vuoto e di insoddisfazione e rimangano come esperienze che non hanno consolidato nessun valore nella coscienza. Così che quando le persone cercano di attingere ai ricordi connessi ad esperienze che sembravano forti e significative, si trovi solo il vuoto dell’angoscia. Ciò significa che l’esperienza che qualcuno ci ha proposto era una ipocrisia. “ Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume” (Mt 23:37).

La manipolazione dell’ipocrisia è molto più intenzionale e strategica del semplice inganno. “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” (Mt 23:13). Essa è tipica dei falsi maestri, di coloro che fingono di possedere risposte e di averle raggiunte attraverso la fatica di una poderosa ricerca interiore ma o non hanno mai fatto alcun cammino e semplicemente fingono di averlo fatto o ne hanno perso il significato perché assorbiti dal desiderio e dal gusto di avere lode dagli uomini intorno a loro.

In ambedue i casi le loro indicazioni sono false e pericolose perché insegnano “dottrine che sono precetti di uomini” (Mr 7:6) e non esperienze, testimonianze o percorsi autentici vissuti in prima persona che hanno condotto a vedere i cieli aperti.

Spesso questi falsi maestri, appartenenti a tutte le forme di religiosità e a tutte le religioni, sono in aperta malafede e trasferiscono solo le loro congetture o le loro ideologie e non insegnano autentici passi per la crescita interiore e spirituale. Il conflitto interno che si genera dentro di loro è l’aspetto più inquietante e pericoloso perché, a più riprese, sono chiamati a ripensare a ciò che fanno e a ciò che dicono, ma la voce della loro coscienza non riesce più a raggiungere la soglia della consapevolezza e scelgono di proseguite nel loro personale racconto e nella loro personale ubriacatura. Ed eccoli, all’improvviso, implosi dentro di sé i fondamentalisti giungono a praticare forme di fanatismo, di oppressione e di violenza che sono l’esatto contrario del punto di partenza da cui avevano mosso i loro primi passi di ricerca spirituale. Sono passati al “lato oscuro della forza” come Anakin Skywalker che si trasforma in Dart Fener in un progressivo crescendo di malvagità che lo rende schiavo del suo inconscio tormentato. L’esatto contrario della consapevolezza che rende trasparente e purifica dalla ambivalenze dell’inconscio.

La finzione ipocrita gioca sull’equivoco e scivola nel paradosso che lentamente prende il sopravvento. L’equivoco progressivamente si trasforma in malafede. Chi agisce in malafede inganna se stesso e si nullifica, perché la malafede non è né più solo l’emergere di desideri inconsci né solo una menzogna: la malafede vive in una terra di nessuno, in quanto impedisce di dare a se stessi una definizione chiara delle proprie intenzioni. È una sorta di auto-ipocrisia in cui le voci interiori sul significato dell’azione svolta, o da svolgere, sono messe a tacere in un processo che rallenta e dissolve la coscienza tramite un’auto-ipnosi consolatoria e fatalistica. Il soggetto sa che la sua azione produrrà danni a sé ed ad altri, ma finge di non accorgersene e compie ugualmente l’azione ricorrendo per giustificarla a tutte le buone scuse a sua disposizione. Questa condizione di quasi coscienza sonnolenta regressiva è diametralmente opposta alla consapevolezza e rimuove anche il potenziale rimorso nel danneggiare fisicamente e psicologicamente qualcuno.

“Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto (Lu 12:1)” è un insegnamento intramontabile che smaschera la malafede perché è proprio vero che la verità finisce per emergere nella sua evidenza, per chi ha gli occhi per vederla e la mente libera per gustarla.

 

[1] vedi la storia di Prevenire è Possibile, Da Prepos a Relazioni Evolute, i Convegni e la Storia dei Cavalieri di San Valentino

[2] La Regola dei Cavalieri di San Valentino

[3] Burocrazia e Apocalisse, La Svolta Relazionale,