Sul piano della mia ricerca ho lavorato profondamente sulla distinzione tra giudizio e condanna proprio per contrastare l’equivoco presente nel “non giudicare” trasmesso (e mal tradotto dal Vangelo) che è un controsenso visto che il giudizio (e non mi piace sfumare l’equivoco ricorrendo al termine valutazione) è un’operazione mentale continua e sana.

Ho lavorato sulla distinzione tra “giudicare” che è nella mente delle persone ed è solo un processo cognitivo e “condannare” che è un atto relazionale e sociale. La questione è estremamente rilevante perché induce a molte contraddizioni anche sul piano dell’interpretazione della Parola.

Il giudizio può essere difficile e, a volte, sbagliato ma l’albero buono produce frutti buoni e l’albero cattivo produce frutti cattivi. E questa è l’indicazione più semplice per formulare un giudizio: si giudicano buoni assaggiandoli oppure cattivi se hanno un brutto sapore o se ti avvelenano. Poi si può condannare l’albero (sradicandolo) oppure lasciarlo li. Si può avvisare gli amici della sua bontà o della sua pericolosità (ed è un fatto educativo) o tenersi le informazioni per sé laddove non si voglia passare per calunniatori dell’albero…Per questa via si perviene a “io ti giudico ma non ti condanno” lasciando questa seconda parte a chi fa il mestiere del giudice e amministra una pena e, parimenti, si può socializzare il giudizio mettendo in guardia la comunità degli umani sulla nocività dell’albero. “Non giudicare” invece è la via buonista, ipocrita e opportunista perché non prende posizione nei confronti dell’albero che, poverino, non lo fa apposta ad avvelenare le persone.

Rimando ad un breve dibattito sviluppato su https://www.prepos.com/io-ti-giudico-ma-non-ti-condanno/ che discute con semplicità su questo equivoco in cui siamo molto più immersi di quanto non pensiamo tanto da sviluppare sensi di colpa (se giudichiamo) o opportunismi ipocriti (se non giudichiamo). La discussione è affrontata senza far ricorso alla morale o alla teologia proprio per evitare le complicazioni che portano lontano dalla vita quotidiana.

Ove si affronti la questione in senso morale ecco che sopraggiunge la “questione del male”. E cioè il male esiste? Ha una sua natura? Ha una sua strategia? È semplicemente una conseguenza dell’agire umano o esiste la malvagità in sé?

Charles Baudelaire, il poeta dannato dei Fiori del Male, afferma che “Il più bel trucco del Diavolo sta nel convincerci che non esiste!” nonostante tutta la letteratura e tutte le scritture ne discutano e ne propongano le più impressionanti immagini.

Le teologie più recenti si muovono, invece, nella direzione della non esistenza del male e lo vedono come un prodotto dell’assenza di amore nel rapporto tra gli uomini. Il loro punto di vista è che il male appare quando Dio non c’è e risolvono in questo modo la questione dell’infinita Onnipotenza (perché se Dio è onnipotente non elimina il male?) e della infinita Bontà (perché se Dio è infinitamente buono non estingue il male e ce ne libera?). Dunque Dio o non è onnipotente o non è buono.

La soluzione di dichiarare che il male non esiste o che è solo attribuibile alla negatività umana risolve questo “giudizio” su Dio. Contemporaneamente questa teologia ha però il merito di liberare gli uomini dalla paura, dall’oppressione, dai sensi di colpa, dalla dimensione di peccatori che attendono la misericordia di Dio come premio per le loro azioni o la condanna come pena da scontare. È infinitamente triste il ricorso ad una immagine di un Dio punitore e inquisitore perdendo di vista il modo in cui Gesù Cristo ce lo ha invece presentato e cioè come un “Papà Buono”. Non nego che nel corso della storia probabilmente il timor di Dio è servito per contenere azioni malvage, odi, stragi, violenze attraverso la paura della punizione. Ma forse anche questa interpretazione può essere messa in discussione fondandosi sul pentimento, autonomamente scaturito in uomini, anche decisamente malvagi, che hanno però convertito il loro operato.

La teologia della relazione affronta la questione da un altro punto di vista. In primo luogo la relazione interumana è fondata sulla risonanza delle onde cerebrali nei momenti di empatia. Tale risonanza, proposta attraverso la scoperta dei neuroni specchio e verificata attraverso la neuro imagine ma anche attraverso le consonanze degli EEG, consente di dare sostanza alle diverse curve d’onda in risonanza e di leggerle nella loro qualità di prodotto oggettivo dell’agire relazionale interumano (e non solo). L’amore sarebbe dunque una sostanza prodotta all’interno della relazione che rimane come un dato oggettivo anche al di là della mente delle singole persone che lo sperimentano. L’aumento della sensibilità empatica consente di percepirlo anche in certi luoghi, in certi ambienti, all’interno di particolari momenti di comunione tra persone. Tale sostanza è ciò che si è sempre chiamato “spirito”, termine che oggi sostituiamo erroneamente con “clima sociale”, “vibrazioni in sintonia”, “incontro tra i corpi sottili”, ecc.

Erroneamente perché la relazione che da vita al mondo e cioè quella tra Padre Celeste e Gesù di Nazareth si chiama Spirito Santo ed ha consistenza di “Persona” all’interno della Trinità.

Il termine umano “persona” è una semplificazione indispensabile per prendere consapevolezza dell’intenzionalità, della volontà e dell’irradiazione affettiva nel mondo dello spirito come caratteristiche delle Persone della Trinità. Ciò consente l’uscita da religiosità che cercano di interpretare le leggi dello spirito all’interno degli schemi, prodotti dall’uomo, più svariati. Ed è questa l’originalità del Cristianesimo… come Gesù spiega a Nicodemo “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito“.

L’espressione “dove vuole” implica l’intenzionalità della Persona Divina. Del resto se io, essere umano, sono persona, Dio che è più di me deve essere come minimo Persona, oltre un infinito numero di altre cose. Se Dio non fosse persona sarebbe meno di me!

 

La sostanza relazionale dell’amore è dunque un dato di realtà che, oltre ad essere sintonia nella relazione è sostanza in sé percepibile attraverso lo sviluppo della propria consapevolezza e della propria sensibilità spirituale mistica ed ascetica.

 

E il male? Posto che la sostanza spirituale del male sia prodotta dalla sintonia tra costellazioni cerebrali in uomini che ne condividono il sapore ed agiscono di conseguenza, o nei rapporti asimmetrici tra vittima e carnefice in tutte le loro forme possibili (dalla tortura fisica alla squalifica di una professoressa nei confronti di un alunno), questa dimensione assume una valenza spirituale e diventa essa stessa sostanza.

Se è stato l’uomo a produrre il male ormai il male è un prodotto in libera circolazione nello spazio e nel tempo ed ha una sua natura ed una sua intenzionalità, indipendente da chi lo ha messo in moto. Sottovalutare la presenza del male nel mondo ci espone al grave rischio di non riuscire più ad interpretare, nemmeno moralmente, quanto sta accadendo in questa fase della nostra storia evolutiva.

La riproduzione del male e del dolore, nella sua invarianza nella storia determina ormai la sua presenza nel mondo indipendente dagli umani. Così come esiste la sostanza della relazioni positive e produce benessere spirituale e sociale anche la sostanza del male prodotta dalle relazioni negative si riproduce nella storia.

Distrarsi e dimenticarlo può essere davvero spiritualmente pericoloso soprattutto quando tale sostanza malefica sembra aver raggiunto livelli di autocoscienza tali da percorrere vie strategiche per far fallire il progetto di Dio sull’uomo. E per allontanare l’uomo dalla Felicità.

Se oggi osserviamo la manipolazione delle idee e delle informazioni prodotte dall’establisment non possiamo non prendere atto che sono superati i livelli di guardia: non è solo condizionamento di  opinioni ma un processo che intacca le scelte educative e relazionali della vita quotidiana delle persone.

La tecnologia di manipolazione chiamata finestra di Overton[1], ad esempio, ha lo scopo di abituare la gente all’inaccettabile attraverso passaggi successivi che rendono addirittura legale quella stessa idea fino a ieri impensabile. Questa tecnica si fonda sull’ipocrisia e sugli irretimenti che le persone subiscono a causa dei loro copioni primitivi ed impedisce lo sviluppo di sane relazioni interpersonali. Abbiamo così accettato il declino dei valori, la diffusione della droga, del gioco d’azzardo, la teoria del gender, la burocrazia informatica, il clientelismo, la corruzione, il consumismo, l’immigrazione forzata, la privacy, la precarietà, le perversioni sessuali, il sadismo, ecc. Ed ora accetteremo gli obiettivi del Bildelberg e della Trilateral delle multinazionali: la globalizzazione imperante, la guerra, la legittimazione della pedofilia, il ritorno alle aristocrazie medioevali e un sostanziale ripristino delle servitù della gleba. Il capitalismo è oggi una religione che fa della meritocrazia (corrotta) un culto finalizzato alla legittimazione delle disuguaglianze dove i demeritevoli sono scacciati perché sventurati. La struttura che regge questo sistema è un impianto?, un apparato?, un sistema? , è la finanza internazionale?, è il mercato?, è il denaro? è una necessità? è il caso?…A fronte di tutte queste numerose categorie interpretative ciò che sta alla base del reticolo di potere appare sotto il nome di “male” che si presenta cosciente, consapevole e intenzionale. E la lotta contro questo male non può essere efficace se non parte dal giudizio e dalla condanna e se, soprattutto, non mette in gioco il vero territorio della battaglia: il mondo delle sostanze relazionali o, meglio, il mondo dello spirito.

Dunque il quadro del potere nel mondo si presenta oscuro sia per la caduta delle libertà democratiche mediante raffinati e mutevoli sistemi elettorali sia per i conflitti/intese tra i gruppi di potere. E’ assai probabile che, non essendoci alcun progetto (anche utopico) di società, la web society si presenti come sistema in perenne crisi con continui riaggiustamenti e cambi di linea.

Nel frattempo l’avanzata tecnologica renderà minima la partecipazione attraverso il lavoro liberando i “servi della gleba” dalla fatica del lavoro ma privandoli dell’identità di produttori.

Tutto ciò apre però un immenso spazio per la formazione di relazioni evolute specialmente nel mondo giovanile che, progressivamente affrancandosi dalle monocordi comunicazioni dei social (pur usandole con competenza) proverà il desiderio di sensazioni, emozioni e sentimenti carichi di sostanza affettiva.

Occorre però che siano in grado di esprimere giudizi e di ricevere protezione dalla sostanza relazionale maligna che circola nel sistema. Ecco perché non va sottovalutato il male e le sue strategie.

Può però diventare oggi possibile un progetto di lavoro che tendenzialmente riguarderà il futuro assetto del sistema sociale fondandosi sulla costruzione di piccole molecole relazionali che costruiscono ed hanno cura del rapporto che si crea tra le persone molto più che dei risultati socialmente visibili e politicamente/economicamente spendibili. Come del resto la storia umana ci ha mostrato attraverso i fari di civiltà e di evoluzione nati nel contesto di comunità, piccole nel mostrarsi ma gigantesche nel proporsi come capisaldi del mondo dello spirito.

[1] La finestra di Overton è uno schema di comunicazione-persuasione ideato da Joseph P. Overton (1960-2003). Si tratta di un modello di persuasione centrato su sei fasi che descrive lo spostamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a una certa idea. Sulla base del modello di Overton, sono state  costruite campagne a favore di alcune idee non accettate dalla società che, come da schema successivo, diventano diffuse e legalizzate.