Dopo un secolo di psicologia l’orientamento del rapporto di aiuto si è progressivamente spostato dai modelli psicologici a quelli relazionali individuando in questi ultimi la caratteristica essenziale di questo nuovo secolo.

Ci sono però approcci alla relazione che la pensano ancora come residente nella mente delle persone e non riescono a vedere la relazione in se come sostanza specifica prodotta dall’evoluzione umana. Sostanza perché, a seguito della scoperta dei neuroni specchio e della risonanza cerebrale dell’onda empatica, si può interpretare il legame (o i vincolo) tra persone come una costruzione di sentimenti di valore che hanno una loro specificità ed una loro natura caratteristica.

Per evitare di scivolare in un approccio privo di fondamento costitutivo abbiamo dedicato anni di ricerca allo studio delle relazioni primitive, oppositive, affini ed evolute testando molteplici personalità collettive al fine di misurare le forze attrattive interpersonali che tengono insieme i gruppi e le forze oppositive che, ove non regrediscano a primitive, contribuiscono all’equilibrio dei sistemi di relazione.

Alcuni anni fa ci siamo posti il problema dell’origine dell’effettività relazionale e, dopo averlo ampiamente discusso nel convegno l’Irradiazione affettiva, lo abbiamo visto emergere nell’evoluzione dall’orda primordiale alle prime configurazioni affettive che si sono manifestate nella specie umana. tali configurazioni hanno la natura di archetipi non ambivalenti (in molti casi lo possono diventare) e si sono manifestati come i primi canali sui cui si è incanalata l’effettività.

Abbiamo dedicato tre convegni (2015, 2016 e 2017) per analizzare questi primi archetipi e rimandiamo ai successivi link per una discussione più approfondita.

LA PATERNITA’

LA FRATERNITA’

LA MATERNITA’

Abbiamo definito “canali” perché in ciascuna di queste tipologie relazionali ha cominciato a scorrere una banda di frequenze di onde empatiche connotate da diverse proprietà dell’affettività.

I canali archetipi sono prototipi inconsci che ci guidano nel comportamento sociale e nella costruzione della nostra identità. Gli archetipi di base della paternità, della maternità e della fraternità sono pilastri inconsci che individuano le prime forme di relazione affettiva.

L’analisi svolta su ciascuno di loro ha raggiunto l’obiettivo di mostrare sia le ambivalenze da cui debbono essere purificati per poter influire sui riferimenti virtuosi e valoriali in essi contenuti, sia le strutture su cui si fondano.

L’archetipo materno si presenta con la forma esplicita di un canale affettivo emozionale. L’amore materno nutre e rende sazi se non è troppo avvolgente  e se non è troppo distaccato. La forma dell’attaccamento sicuro è quella di un’onda emozionale che coinvolge e rilascia e che, come tutte le emozioni ha una durata. Si innalza per poi esaurirsi ed innalzarsi di nuovo.

L’archetipo paterno è quello di un canale attraverso cui passa la dinamica delle azioni. Consente o non consente un atto. Ciò che c’è in potenza nella relazione paterna può realizzarsi o bloccarsi. La dinamica avviene o non avviene, si realizza o viene impedita. Si potenzia o si estingue. Non ha durata, o c’è o non c’è.

L’archetipo fraterno è centrato sul riconoscimento e sull’intesa cognitiva. tra fratelli si formano i concetti, i linguaggi ed i simboli. E sulla base di tali simboli condivisi cresce la collaborazione o la competizione. Se i simboli sono concettualmente chiari e condivisi restano saldi nel tempo.

Questi tre canali relazionali rappresentano le vie di base attraverso cui l’uomo si esprime nelle relazioni con gli altri: emozioni, atti, cognizioni. Tali atti sono tipici del nostro agire come madri, come padri o come fratelli a seconda del tipo di affettività che mettiamo in gioco. La liberazione dalle ambivalenze tocca dunque questo costrutto di fondo da cui parte l’esperienza umana della relazione consapevole e poi evoluta.

Diventare soggetti relazionali significa interrogarsi sulla natura e sul senso delle relazioni per sviluppare alcune specifiche ed essenziali competenze relazionali che, in sintonia con quanto detto sulla relazione emozionale, dinamica e simbolica, vertono sulla capacità di gestire la scena relazionale ed i suoi tempi e flussi emozionali (il materno), relazionarsi sui valori condivisi e non sulle passioni (il paterno), relazionarsi con la propria voce interiore e le altre voci che ascoltiamo dentro di noi (il fraterno).

L’esperto in relazioni evolute sa comprendere la specifica qualità con cui le persone stanno in relazione con lui e la modulazione relazionale di cui hanno bisogno. Va da se che ciò superi il concetto di ruolo per come è inteso in sociologia (l’insieme di aspettative reciproche cristallizzate nelle norme sociali tipiche di una specifica posizione sociale). Tal concetto funzional-strutturalista descrive la relazione come un prodotto del sistema sociale preesistente ed è il motore della burocratizzazione delle relazioni falsificate dall’ipocrisia.

Aver posto come origine gli archetipi relazionali ribalta la teoria dei sistemi e rimette sulle sue gambe la possibilità di far evolvere i modi di stare insieme che ci possiamo concedere, con autenticità.

La socializzazione relazionale primaria non è prodotta dal sistema sociale, ma nasce come conseguenza di relazioni biologiche riproduttive primarie. Questo assunto ha bisogno di essere sottolineato e fortificato nella trasformazione del postmoderno in web society quando le relazioni primarie perdono identità a seguito di profonde modificazioni dei ruoli: l’idea di coppia e di famiglia, di maschile e di femminile, di paterno e materno, di fraterno, di amico, di parente, di collega possono assumere significati plurimi, spesso ambigui.

L’ambiguità del postmoderno non può però annullare il senso originario delle forme relazionali archetipiche del matrimonio, della paternità, della maternità e della fraternità, le più antiche e fondative dell’identità umana. Tali archetipi sono i primi canali relazionali di quelle particolari forme di amore: rispettivamente quello coniugale, quello paterno, quello materno e quello fraterno.

Le caratteristiche ambivalenti degli archetipi, già presenti e ben descritte dai miti antichi (basti, a titolo di esempio, il mito di Caino e Abele), derivano dalla perversione introdotta nella relazione per insufficienza di capacità affettiva. Dal fatto cioè che l’irradiazione affettiva che percorre i canali relazionali ha subito blocchi, cadute, o si è congelata a causa di modalità relazionali non adattative oppure di modalità che sono rimaste, o ritornate, primitive.

Quando le modalità relazionali sono polarizzate sull’affettività, l’irradiazione affettiva della coppia evolve dalla pulsione sessuale verso l’innamoramento coniugale, l’attaccamento biologico della madre verso il figlio si trasforma in affettività materna e la scoperta della propria continuità genetica nei figli del maschio evolve verso la realizzazione relazionale della paternità.

Ciascuno degli archetipi studiati in questi tre anni da Prepos si è rivelato fonte di grandi informazioni e di comprensioni antropologiche di vasta portata soprattutto in funzione della autenticità umana che l’antropologia ci fa riscoprire.

Con questo indirizzo il percorso di crescita personale e professionale comincia ad avere degli obiettivi condivisibili sul piano sociopolitico e non solo su quello professionale.

Mi spiego. Nel modello professionale del counselor si era intravista, studiata e verificata la dimensione dell’umanizzazione di tale professione in senso relazionale, scardinando molti orpelli di ruolo e tendendo a costruire relazioni di aiuto le più chiare e semplici possibile con il massimo possibile di incontro umano tra il counselor ed il cliente.

Ciò che riguarda però la professione va oggi diffuso anche sul piano dei comportamenti relazionali non necessariamente professionali per un miglioramento generalizzato delle relazioni. L’esperto relazionale diventa dunque un cavaliere nel suo modo di porsi e la dimensione cavalleresca, con tutti gli impliciti romantici che non guastano, è forse la via per porgere uno stile di vita e di relazione che fa bello e nobile il vivere.

La dimensione cavalleresca può mostrare uomini che testimoniano la loro capacità di relazioni evolute attraverso alcune scelte etiche e di comportamento fondamentali:

1)       Il rifiuto delle regressioni primitive considerate passioni di follia. E, viceversa, le malattie mentali non organiche, considerate come regressioni al primitivo.

2)       la scelta di destrutturare l’ipocrisia sistematicamente incontrata. Sia essa connessa alle relazioni di scelta che alle relazioni burocratiche.

3)       la professione di autenticità nella relazioni con la scoperta dell’appagamento conseguente.

Questa realizzazione nell’essere relazionale è possibile come strategia per qualunque essere umano che voglia intraprendere nella quotidianità una simile esperienza di liberazione e di gioia. Quando ci si incammina verso la consapevolezza relazionale i primi passi sembrano difficili finché non si realizza che dirsi la verità sullo stato dei nostri rapporti è liberante e ci fa sentire attori del possibile cambiamento. Ed anche quando tale cambiamento non sia possibile si è ugualmente liberi dalla dimensione depressiva che l’ipocrisia altrui cerca di contagiarci. Il mondo degli ipocriti appare ridicolo e meschino e lo si può osservare dall’alto con distaccata benevolenza senza subirne il contagio.

Non è poco. Significa essere cavalieri.

Vincenzo Masini

29/01/2017