INTERVENTI:

DONATELLA CEDRONE: COME TI VA LA VITA CAVALIERE? CAMBIAMENTI DI VITA ALLA LUCE DELLO SMASCHERAMENTO DELL’IPOCRISIA.

MARCO POLI: L’IPOCRISIA DEI COUNSELORS

RITA PARRINELLO: I CENTRI PER LA PROTEZIONE DEI MINORI NON SONO SOLO UN BUSINESS

 

DONATELLA CEDRONE: COME TI VA LA VITA CAVALIERE? CAMBIAMENTI DI VITA ALLA LUCE DELLO SMASCHERAMENTO DELL’IPOCRISIA.

Nell’ultimo anno e mezzo la mia vita ha subito un cambiamento radicale. Io vivo nelle marche, la zona del terremoto, devastata nell’ottobre scorso. Di colpo, nel giro di 5 minuti mi sono ritrovata dalla condizione “Agiata, di chi sta nel proprio letto al caldo alle 7.30 del mattino e pensa se sia già il tempo di alzarsi per preparare il caffè visto che è domenica, a quella di SOPRAVVISSUTA SENZA TETTO. SOPRAVVISSUTA perché la scossa del 31/10 delle 7.40 di magnitudo 7,1 poi scesa a 6,5 ha fatto crollare edifici, case, chiese e per fortuna non ha distrutto vite. SENZA TETTO perché pur avendo retto, la mia casa ha subito dei danni cosi gravi che siamo dovuti scappare immediatamente soltanto con gli abiti che velocemente avevamo indossato. Scappare terrorizzati, lasciando alle spalle la propria casa, il proprio nido, dove è nata tua figlia, è cresciuta , ha imparato a camminare, luogo di incontri, di tante risate e anche contrasti, luogo della coppia e della famiglia, degli amici e della solitudine. Ferita, colpita in modo irreversibile nelle fondamenta e non più in grado di reggersi sulle sue gambe per continuare a darti le CERTEZZE di sempre. Guardarsi intorno e vedere solo crepe, polvere, distruzione . Avere paura, non riuscire a muoversi, non saper che fare, essere confusi, abbracciarsi per ritrovare negli occhi di mio marito e di mia figlia la bellezza dell’essere ancora insieme. Di aver salva la vita! Piangere insieme per la perdita, l’avvilimento, il senso di impotenza per l’annientamento della vita precedente e sorridere e ringraziare Dio per averci lasciato vivere. In questo anno che io chiamo “tempo senza tempo”, ho vissuto SOSPESA. E’ stata sospesa la mia vita e quella della mia famiglia, le mie certezze, la mia stabilità, le relazioni …. tutto sospeso! Sospesa nel passaggio dalla vecchia vita alla nuova, quella che poi a fatica, aspettando e cercando è arrivata. Mi ha accompagnato in questo mio “tempo senza tempo” la canzone che ho ritrovato nei miei ricordi e che mi ha confortata durante questo difficile cammino verso una consapevolezza rinnovata di autenticità è: DOMANI (Artisti uniti per l’Aquila nel 2009). Ero da sola, in albergo dove sono stata per 10 mesi a vivere, lontana da tutti per potermi ritrovare in un silenzio assordante di voci dentro me e l’ascolto di quella canzone ha contribuito alla mia risalita verso la certezza di poter affrontare l’inaspettato che avevo davanti, il buio del tunnel da cui non filtrava alcuna luce. LE FRASI DI QUELLA CANZONE CHE MI HANNO ACCOMPAGNATO SONO: NON SIAMO COSI SOLI! E DI NUOVO LA VITA SEMBRA FATTA PER ME E COMINCIA DOMANI! CON UN PO DI FORTUNA SI PUO’ DIMENTICARE! Ho iniziato a riflettere, Non siamo poi cosi soli! Certo, tutti intorno a me, uguali a me colpiti dagli stessi accadimenti, dagli stessi dolori. Il terremoto ci aveva reso uguali ma io, effettivamente, quel dolore lo stavo affrontando da sola! Non per orgoglio, ma per non pesare sugli altri, non affliggerli anche con i miei pensieri neri, vivevo il mio dolore da sola, senza farmi vedere da nessuno. E questo e stata una scoperta illuminante! Io, disabituata a chiedere aiuto nelle varie vicende di vita, a non pesare su altri, a cercare di sbrigarmela da me da sempre, ad andare io incontro agli altri per sostenere e incoraggiare, ascoltare e capire. In quel momento, ho concretizzato che potevo condividere la sofferenza della perdita di ogni punto di riferimento, l’attesa della fine della tempesta da cui tutti eravamo accomunati. Ho provato a fare un passo verso gli altri nel racconto del mio dolore, senza preoccuparmi troppo di intimorirli, di preoccuparli delle personali sciagure, visto che eravamo tutti sulla stessa barca. Dando voce non alla DISPERAZIONE ma alla condivisione del mio sentire con gli altri. Cosi, quando sono arrivati l’ennesimo come stai? Come vanno le cose? Da parte di amici, persone legate a me da stima e amicizia…. Invece di rispondere bene dai! Tiro avanti! Ho iniziato a dire la verità, che non andava bene affatto! Che era una tempesta pazzesca quella che stavo attraversando e che vivevo nella confusione più totale. E li, guardando gli occhi perplessi dell’altra, mi sono sentita rispondere “ ma vabbé dai non ti lamentare, infondo vivi in albergo dove hai tutto anche la cameriera e poi non paghi nulla! O ancora persone che hanno avuto la fortuna (perché solo di semplice fortuna si tratta di non avere subito danni ingenti) che non hanno VOLUTO APRIRE LE PORTE del cuore per vedere L’ALTRO. Per altro intendo “povero disgraziato che aveva perso tutto, che dormiva su una brandina e mangiava al centro di accoglienza. Noi eravamo in quelle condizioni e i Fortunati si sono rintanati nelle loro certezze e nelle ipocrite dichiarazioni fatte sui social dei poverini, stiamogli accanto, mandiamo il messaggino con 2 euro rintanandosi nella apparenza cordiale della vile menzogna. Persone della stessa cittadina, che vivevano oramai situazioni lontane …. chi di deprivazione totale data dal terremoto; chi invece curante solo del suo orticello anche se confinante con la tragedia. Così, la fusionalità creata da una semplice canzone verso il mondo, OVVIAMENTE ha visto deluse le aspettative di comprensione di chi in quei giorni, non era stato costretto a scappare da una casa pericolante e a lasciarsi alle spalle tutte le certezze. Mi sono chiesta: Ma dove sono finiti tutti? Le dichiarazioni di affetto, condivisione e aiuto concreto dei primi istanti….. dove sono ora? Tutti presenti nei momenti di vita precedente …e poi ? SILENZIO, ASSENZA, LONTANANZA RELAZIONALE. IPOCRISIA, cosa sennò! Maschere dipinte di bontà verso l’altro che ….. anche in un evento cosi devastante nella vita delle persone, non danno nulla, rimangono nella loro avarizia di sentimenti. Persone che hanno continuato a vivere, in quello stato di sufficienza che non conosce l’UMILTA’ del cercare lo sguardo dell’altro. Ma oramai in me la consapevolezza del non vivere tutto dentro era raggiunta. Ho Iniziato a cercare io le persone vittime del dramma, con la volontà di portare la mia voglia di condividere con loro quello che stavo vivendo, con semplici e piccoli gesti. (in realtà non c’è voluto molto, in quei mesi non c’erano più sorrisi sui tanti volti incontrati, neanche dei bambini….ovunque voltavi lo sguardo qualcuno si asciugava le lacrime di disperazione). Mi sono messa in ascolto dell’altro, che era diventato come me: non avevamo più niente se non la voglia di ritrovare un po’ di calore relazionale. Ho cercato gli occhi, le mani per tenerle strette tra le mie, e sono riuscita di nuovo a vedere che “DI NUOVO LA VITA SEMBRAVA FATTA PER ME “ ed ho cominciato a pensare a DOMANI. Un domani che giorno dopo giorno si è fatto sempre più concreto per uscire da quel “TEMPO SENZA TEMPO” ho incontrato tante persone distrutte dal dolore, mi sono presa cura di tanti bambini che avevano il terrore negli occhi, ho giocato con loro pomeriggi interi tenendoli lontani dalle madri annientate dall’aver perso tutto….. e dallo Xanax. Ho trovato il modo di CURARE LE FERITE DELL’ANIMA per guardare a domani. Un domani che è arrivato dopo un anno: un domani rinnovato. Ho cambiato città, ho trovato una nuova casa, sono tornata a fare le cose che tutti fanno. Ho ricominciato a gestire il mio quotidiano di cui tutto sembra scontato quando c’è! Sono tornata a dormire nel mio letto, a fare il caffè nella mia moka, a guardare mia figlia che studia nella sua stanza, a cucinare con le mie pentole, ad abbracciare mio marito sul nostro divano. Sono tornata alla vita e sono uscita da quel tempo senza tempo che, mi rendo conto è stato fondamentale per rinascere con la consapevolezza rinnovata di chi NON vuole dimenticare quel DOLORE. Perché quel dolore è parte di me! Grazie a lui sono diventata migliore in tante cose e, vado incontro al domani, con la contezza che qualunque cosa ancora i miei occhi incontreranno durante il loro cammino servirà a superare i miei limiti e ad evolvere verso quella SVOLTA RELAZIONALE in cui l’essenziale è invisibile agli occhi.

 

MARCO POLI: L’IPOCRISIA DEI COUNSELORS

Buongiorno a tutti, mi chiamo Marco Poli, vengo da Como e sono sociologo e counselor. Questi due giorni mi hanno dato modo di riflettere parecchio sul tema dell’ipocrisia e non ho potuto fare a meno di pormi una domanda: “ma io, come counselor, quando mi comporto in maniera ipocrita?”. Per rispondere mi è stato necessario fare un passo indietro e tornare a 7 anni fa, quando a San Giovanni Valdarno il professor Masini mi investì del titolo di Cavaliere di San Valentino. Come sapete al momento dell’investitura viene richiesto quale importante aspetto della vita sarà quello che difenderemo col nostro ruolo e all’epoca io scelsi il Cambiamento. Ieri qualcuno ha detto che il counselor è in un certo qual modo un alchimista; sono pienamente d’accordo con questa affermazione, in effetti entrambi lavorano per il cambiamento, per la trasformazione di qualcosa di impuro o sofferenziale in qualcosa di puro, prezioso e armonico. Se per Enzo il numero più significativo era il 7, io subisco una fortissima attrazione per il 3, sono decisamente hegeliano nel mio modo di vedere la vita: Tesi – Antitesi – Sintesi, Materno – Paterno – Fraterno, Individuo – Sofferenza – Cambiamento… Ieri durante il pranzo ho avuto modo di discutere con Emanuela Mazzoni di famiglia; è stato un dialogo costruttivo, uno scambio di punti di vista arricchente credo per entrambi. Se per lei può dirsi famiglia solo una coppia che abbia avuto almeno un figlio, mentre chi non ne ha è semplicemente coppia, per me il termine può essere attribuito anche ai “senza-figli”. Purtroppo la ripresa del convegno ci ha costretti a troncare il discorso, ma io ho continuato a rifletterci, rendendomi conto che alla fine nessuno dei due aveva torto e nessuno dei due ragione, ma entrambi stavamo sostenendo la medesima cosa: famiglia è quella in cui da due individui diversi si viene a generare qualcosa di nuovo, e questo qualcosa di nuovo altro non è se non l’Amore, nella forma materica dei figli E nella forma astratta di sentimento che può essere percepito anche al di fuori della coppia e fungere da seme di benessere, armonia e speranza nella società. Non mi piace molto l’interpretazione di Erica Poli, ricordataci da Francesco Saviano, di amore come a-mor(te), senza morte: per quanto mi riguarda l’Amore è Morte, non la morte sterile e fine a se stessa che ci fa tanto paura, ma la morte in senso alchemico, vista come forza trasformativa e rigenerativa; non è forse vero che ogni volta che amiamo moriamo nel nostro vecchio modo di essere rinascendone cambiati? Noi siamo counselor, alchimisti e cavalieri e ogni cavaliere è dotato naturalmente di una spada. Essa non è un mero oggetto estetico, ma è fatta per combattere e tagliare. Tornando alla mia domanda iniziale, il counselor è ipocrita nel momento in cui non si prende la responsabilità di far uso di quella spada di cui è dotato, non per ferire a casaccio creando nuova sofferenza, ma come un chirurgo per aprire quella ferita narcisistica, piena di pus, nell’anima del cliente e prima ancora nella propria. Un comportamento diventa ipocrita solo nel momento in cui viene ritenuto tale da chi lo subisce e non necessariamente è inteso come tale da chi lo agisce. La sofferenza che viviamo deriva dalla ferita narcisistica che quel comportamento apre in noi. Bruno Turra ha terminato il suo intervento con una domanda provocatoria “Non posso scrivere di immigrati senza sentirmi dare del razzista o contro i matrimoni gay senza sentirmi chiamare omofobo (a causa del politicamente corretto)?”. Ecco se in studio dovesse farci una simile domanda un nostro cliente potremmo decidere ipocritamente di colludere con lui rincuorandolo su quanto gli altri siano cattivi e andrebbero puniti, o potremmo prenderci la responsabilità di estrarre la nostra spada per riaprire la sua ferita narcisistica e ripulirla, agendo così in maniera etica e professionale. Nel caso in cui scegliamo questa seconda opzione, probabilmente sul momento il cliente potrebbe sperimentare nuova sofferenza e noi sentirci a disagio, ma sappiamo che tutto ciò è necessario per portare a quel cambiamento che permetterà a chi ci sta di fronte di aprirsi al benessere. Vincere l’ipocrisia non può non passare dalla morte di quella parte di noi narcisista, dalla sua trasformazione in amore verso noi stessi e verso l’altro. Solo con questo esempio anche l’ipocrita avrà la possibilità, se vorrà, di cambiare, fermo restando che questa sarà una scelta solo sua. è importante far capire al cliente (e a noi stessi) che noi al massimo possiamo indicare la via, ma la scelta di incamminarsi o meno su di essa starà al singolo. In quanto counselor dobbiamo essere tedofori: dobbiamo fare luce perché gli altri possano vedere il cammino verso una pace duratura.

RITA PARRINELLO: I CENTRI PER LA PROTEZIONE DEI MINORI NON SONO SOLO UN BUSINESS

A pochi mesi dalla sua scomparsa sento forte la sua mancanza; anche se non eravamo vicini perchè tanti chilometrici ci dividevano, lui riusciva ad essere presente anche solo con una parola di incoraggiamento e di consiglio. Da Cavaliere di San Valentino nominata da Lui, sento che Lui avrebbe desiderato la mia presenza qui oggi, a dare la mia testimonianza e a festeggiare insieme a voi questo appuntamento che va avanti da tanti anni. Ma purtroppo causa influenza non sono potuta partire…ma ci tenevo a fare la mia testimonianza. Da 15 anni sono amministratore della Cooperativa “Il Miglioramento”, nome scelto insieme a Vincenzo nel percorso della nostra collaborazione. La mia cooperativa è la realizzazione di un sogno che ho sempre avuto nel cassetto. Con tanta passione, dedizione e amore, nonostante le molteplici difficoltà, sono riuscita a portarla avanti anche con il sostegno della mia famiglia. La cooperativa, dalla nascita ad oggi, si occupa di prevenzione e recupero di giovani che versano in situazione di disagio socio culturale e ambientale. Ad oggi due sono le comunità alloggio presenti sul territorio marsalese: comunità alloggio per minori Oasi don bosco e gruppo appartamento femminile “Karol” fascia di età 14 – 21, ed è in cantiere, di prossima apertura, un micro-nido aggiudicato con bando indetto dal comune di marsala. Le comunità nascono dall’intento di voler aiutare persone in difficoltà avvalendosi del sistema preventivo di Don Bosco. La comunità, quella che intendo io, è un luogo in cui ricreare quel clima di famiglia che  nella maggior parte dei casi manca ai ragazzi, un ambiente protetto che possa garantire una sana crescita fisica e psichica, un trampolino di lancio verso la società che spesso addita e tende ad emarginare i nostri ragazzi. Cerchiamo di dare dei modelli alternativi a quelli che offre “la strada” dando loro la possibilità di scegliere e cambiare vita. Da noi trovano un luogo e persone, luogo che li sa accogliere e persone che li sa ascoltare, cosa alla quale non sono abituati…non sono abituati ad essere ascoltati! Si tratta di un lavoro difficile spesso frustrante e talvolta avvilente, spesso capita di sentirsi soli, bisognosi di avere una guida. In un momento particolarmente difficile che stavamo attraversando la “Provvidenza” mi ha fatto rincontrare come se fosse accaduto per caso il Prof. Vincenzo Masini, mio maestro e grande amico. Così ha inizio una fitta collaborazione caratterizzata da un rapporto di autenticità, avulso da ogni forma di ipocrisia. Tanti sono stati i momenti di formazione professionale e supervisione clinica, momenti di crescita e di condivisione. I nostri incontri avevano cadenza mensile visto che a Marsala si era aperta una sede distaccata di Prepos di cui ne ero la responsabile. Anche se a livello nazionale si parla dei grandi guadagni e delle speculazioni che girano attorno alle comunità, la mia esperienza è in totale disaccordo. Non c’è investimento economico che possa equiparare l’investimento emotivo, professionale e temporale di chi vive la comunità come l’obiettivo primario della propria vita e di chi mette il minore al centro del proprio interesse e del proprio lavoro. Negli ultimi anni si è registrata una crescita spropositata delle comunità che accolgono minori extracomunitari. Non sono mancate le possibilità per aprire strutture per migranti ma l’autenticità della nostra mission non me lo ha permesso. Sul territorio marsalese sono stata la prima ad accogliere i primissimi minori sbarcati e presi a Porto Empedocle. Sono stati inseriti in una struttura dove già erano presenti minori italiani; si è veramente lavorato per una reale integrazione e socializzazione. L’obiettivo principale è stato quello di fornire loro un’adeguata istruzione e formazione in modo da poter favorire un inserimento nel mondo lavorativo, finalizzato a prevenire quello a cui oggi si assiste, microcriminalità e delinquenza. Altro che guadagno…per i primi migranti non erano ancora ben chiare le modalità di pagamento delle rette….mesi e mesi di puro volontariato…tutto fatto solo con il cuore…l’esigenza era quella di accogliere e educare questi ragazzi, di sostenerli in un momento delicato della loro vita a seguito delle difficoltà che li avevano spinti ad affrontare il doloroso viaggio che li aveva portati sulle coste della Sicilia. Da li a poco il fenomeno dell’immigrazione si è a tal punto intensificato da determinare l’apertura selvaggia di strutture deputate all’accoglienza di centinaia di minori stranieri, dove il minore non è più al centro del lavoro dell’equipe di comunità ma diventa strumento di interessi economici, a bassi ed alti livelli. Non ho accettato questa concezione di accoglienza né il fatto che il minore fosse diventato un numero, uno strumento di arricchimento economico. Pertanto mi sono rifiutata di seguire quella che è stata la tendenza di molti: aprire grandi strutture per creare veri e propri ghetti, con l’intento di guardare solo ai propri  interessi economici. Il fulcro del lavoro degli operatori di comunità deve essere il benessere del minore che si pone al centro di tutto, al centro del sentire, del pensare e del progettare, l’interesse primo che muove tutto il resto. Alla base del lavoro dell’operatore di comunità ci deve essere non solo una grande professionalità ma soprattutto umanità, cuore e passione. Non è un lavoro che permette di arricchirsi economicamente ma sicuramente permette ogni giorno una grande crescita e un arricchimento personale. Se Oggi sono a parlare del mio lavoro e della mia crescita personale è perché al mio fianco ho avuto un grande maestro quale è stato Vincenzo. Lui mi è venuto spesso in aiuto nelle difficoltà personali e lavorative e se sono arrivata fin qui è anche merito Suo. GRAZIE GRANDE PROFESSORE.